Il monumento all'Alpino |
Poteva Bergamo, terra di Alpini, restare senza un monumento che ne fosse un ricordo imperituro? Per lunghi anni gli alpini bergamaschi coltivarono il proposito di erigere un monumento all’Alpino, e più volte al riguardo formularono voti in occasione di adunate e assemblee. Nel 1957 finalmente si assunse un solenne formale impegno da parte dell’assemblea sezionale; ed il Consiglio direttivo, in ottemperanza a tale impegno, diede corso alle relative pratiche, dando vita a un Comitato, nominando una Commissione tecnico-artistica e indicendo un regolare concorso. Scelto il bozzetto – opera dello scultore bolognese Peppino Marzot in collaborazione con gli architetti Giuseppe Gambirasio, bergamasco, Aurelio Cortesi e Nevio Parmeggiani - nel 1959 si provvide a dare corso all’esecuzione dell’opera d’intesa con il comune di Bergamo; il quale, convinto della nobiltà dell’opera, metteva a disposizione una delle migliori zone della città bassa, quella che verrà poi denominata Piazzale degli Alpini, e prestava ogni sua possibile collaborazione. Non per nulla il sindaco, Tino Simoncini, era un alpino, alpini erano molti assessori e consiglieri comunali, ed alpini si sentivano un po’ tutti i membri dell’amministrazione della città dei Mille, della città capoluogo di una provincia che tanti suoi figli ha sempre dato e continua a dare ai reparti alpini. Lo spirito e la solidarietà alpina (circa diecimila erano gli associati a quel tempo) con l’ausilio del Comune di Bergamo, dalla Provincia, di alcune banche, altri Enti e privati ne permisero la realizzazione. L’inaugurazione avvenne il 18/03/1962 in occasione della 35ª Adunata Nazionale. Il monumento venne sentito come un giusto tributo d’onore e di amore verso i compagni, che per la Patria avevano immolato la vita, dall’Africa alle due grandi guerre mondiali del ‘15-’18 e del ‘40-’45. Venne pensato per ricordare e celebrare l’eroismo e il sacrificio di migliaia di bergamaschi che nei reparti alpini hanno combattuto e sofferto per la Bandiera Italiana e di tutti coloro che in ogni tempo hanno compiuto e compiono il loro dovere da alpini. Descrivere il monumento non è facile soprattutto in questo caso in cui l’opera vuole raccogliere tante e diverse storie di uomini straordinari: quelle guglie che si elevano alte e snelle verso il cielo danno veramente l’impressione di quelle crode e di quelle pareti a “camino” che i nostri alpini dovevano scalare durante la guerra; di quelle trincee ad alta quota scavate nella roccia nelle quali passavano giorni (e mesi) abbarbicati, tra difficoltà e pericoli di ogni genere, per l’odiosa guerra e le impossibili condizioni climatiche al limite del sopportabile umano. Ma l’Alpino, come incastonato nella roccia che, con gran sforzo di muscoli e di volontà risale, guarda sempre in alto, verso la vetta da raggiungere, per la salvezza della sua e della nostra terra, della sua e della nostra gente. Il monumento è un grande ara anche per le innumerevoli schiere di nostri Fratelli rimasti senza tumulo e senza croce sulle montagne, lungo le interminabili piste del deserto e della steppa, senza la pietà di un fiore, senza il pietoso sussurro di una preghiera. E oggi, pur perserverando nell’onorare coloro che con valore ci hanno preceduto, l’alpino continua con tenacia e coerenza il suo percorso in salita, nella difesa dei valori a lui più cari, la famiglia, la tradizione, i principi morali, raccogliendo il monito dall’intrepido alpino del monumento, tramite tra gli eroi del recente passato e i costruttori del miglior prossimo futuro. Provate a osservare da vicino il monumento col cuore…
|