Esercito - Anche quattro donne hanno vissuto l'esperienza «Pianeta difesa» nelle caserme di San Candido e Aosta organizzata dal ministero.
Soddisfatti i giovani presenti al campo di due settimane con gli alpini. «Cameratismo e regole aiutano a crescere»
Mini-naia davvero troppo breve secondo le quattro ragazze e i dieci ragazzi bergamaschi che sono ritornati a casa dopo due settimane trascorse in divisa nelle caserme alpine di San Candido e Aosta. Hanno partecipato al progetto «Pianeta difesa» promosso dal ministero per far conoscere la vita militare ai giovani. Per tutti è stata un'esperienza positiva con l'unico difetto di essere durata troppo poco. Nove di loro si sono incontrati nella sede sezionale dell'Associazione nazionale alpini in via Gasparini a Bergamo dove sono stati accolti da alpini che il servizio militare l'hanno svolto anni fa. «Due settimane sono davvero poche» dice Nicola Ubiali di Bergamo, 18 anni, studente del corso elettricisti del Patronato San Vincenzo, che non esclude la possibilità di fare domanda per un anno di ferma volontaria. Anche a Mattia Agazzi di Alzano non dispiacerebbe un futuro nell'esercito, ma solo dopo aver concluso l'università: «Sceglierei gli alpini, perché mi piace la montagna e ho apprezzato tutte le attività che abbiamo svolto».
I ragazzi bergamaschi che hanno partecipato alla mini-naia con gli alpini. In alto, la visita nella sede Ana di via Gasparini a Bergamo. Nelle altre foto, alcuni momenti vissuti in divisa tra marce, montaggio delle tende, rancio e cerimonia di consegna del cappello con la penna. I giovani bergamaschi hanno giudicato positivamente l’esperienza di «Pianeta difesa» e hanno chiesto che venga allungata
A Michele Pezzotta, 21 anni di Nembro, che gareggia a livello agonistico in mountain bike, piacerebbe entrare nel gruppo sportivo dell'esercito: «Per Pianeta difesa un mese sarebbe il minimo, meglio tre. E poi gli istruttori dovrebbero poter dare le punizioni. C'era qualcuno che pensava di essere in vacanza e non era corretto verso i militari». Ordine e rispetto delle regole sono stati elementi apprezzati da questi giovani: «Mi è rimasto da quest'esperienza un certo modo di organizzare le azioni quotidiane» spiega Jacopo Bigiani di Seriate, 18 anni, mentre Filippo Medolago, pure lui diciottenne, aggiunge: «È positivo imparare a tenere le proprie cose in ordine e sperimentare la convivenza con gli altri. Io ho anche scoperto che ci si può divertire con poco. Se la sera con gli amici si deve andare in discoteca, spendere anche 30 euro nei locali, ad Aosta la sera ci bastava una birra e due cantate in compagnia per essere contenti. Quando lo racconto agli amici, in alcuni leggo l'invidia per aver fatto questa esperienza». Sul fatto che la vita in caserma «ti fa diventare più sveglio» concordano Jacopo e Simone Inno di Presezzo che sarebbe pronto a ripartire a settembre: «Ho già 25 anni, se fossi più giovane farei domanda come volontario».
Come si svolgevano le giornate di questi 14 mini-soldati? «Ci si svegliava alle 6,30 e suonava il silenzio alle 23,30. Si dormiva poco. È stata messa a dura prova la mia resistenza fisica – dice Ilaria Capurso, studentessa di farmacia di Scanzorosciate –. Ma è bello faticare per arrivare a una meta». E ricorda insieme a Silvia Morelato, studentessa di informatica (un papà alpino capogruppo di Levate), le camminate in montagna con lo zaino in spalla nella cornice delle Dolomiti: «Il paesaggio ripagava da qualsiasi fatica». Ragazze spinte dalla passione per la montagna e dalla curiosità di conoscere un mondo da cui sono sempre state affascinate. «Mi sarebbe piaciuto ci fosse ancora la leva di un anno – dice Lara Capelli, 22 anni, commessa di Ubiale Clanezzo –. È stato bello, anche se duro per gli orari, le marce, le docce fredde». Qualsiasi fatica fisica è stata però superata facilmente perché «messa in conto e alleggerita dallo spirito di gruppo che si è creato da subito». «Abbiamo già molti contatti in Facebook con tutti i ragazzi conosciuti in caserma. Ci incontreremo a Bassano a settembre in occasione dell'adunata del Triveneto» aggiungono altri.
Da come indossano il cappello che è stato regalato loro nella cerimonia conclusiva, si coglie l'orgoglio di sentirsi parte della famiglia alpina. «Ho sempre avuto gli alpini nel cuore» dice Simone Inno. «Ho alle spalle generazioni di alpini e l'adunata di maggio mi ha dato la spinta decisiva» confessa Simone Ubiali. E non si può dire che le penne nere bergamasche non li abbiano accolti con affetto nell'incontro svolto nella sede Ana, al quale non hanno partecipato, rammaricati, i giovani Veronica Pagani di Ponteranica, Marco Buzzetti di Bergamo, Diego D'Andrea di Monasterolo, Michael Coffetti di Verdello, Ruben Ghidelli di Morengo.
Laura Arnoldi - L'Eco di Bergamo 10/08/2010
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