Eroe? È morto da alpino, alpino della Julia Stampa

A PROPOSITO - di PINO CAPELLINI

Abile, arruolato. Quando c'era ancora la leva non è che si conoscesse subito il reparto di destinazione. Solo con l'arrivo della cartolina precetto il futuro alpino sapeva dove sarebbe dovuto andare. Solitamente l'area di arruolamento della brigata Julia era quella del Friuli Venezia Giulia, ma mezzo secolo fa in caserma capitava anche di imbattersi in un po' di bergamaschi, bresciani, piemontesi e liguri. Si sentiva pure parlare in calabrese o sardo perché era soprattutto tra i giovani di queste due regioni che venivano reclutati i conducenti di muli.
Lo spirito di corpo (sono un alpino, sono della Julia) non lo si apprendeva in caserma. Nasceva dentro portando la divisa e il cappello con la penna, oltre che da quel senso del dovere (o di impegno civile) proprio degli alpini anche quando sono in congedo (mai ex alpini). È nel loro dna la solidarietà, la pronta adesione all'invito a prodigarsi per gli altri: «Se c'è bisogno, siamo qui». Nelle poche parole che di lui conosciamo, Matteo Miotto, il caporal maggiore della Julia caduto in Afghanistan, rivela una partecipazione rara in tanti giovani della sua età. Il sentimento di compiere qualcosa che andava fatto, pur nel timore non nascosto dei rischi cui andava incontro tutte le volte che usciva in pattuglia. Al punto di scrivere un testamento per chiedere, se fosse caduto in un agguato, di essere sepolto nel cimitero del suo paese.
Lo hanno definito «un eroe semplice». Non vorremmo mai che ci fosse bisogno di eroi, né in Afghanistan né in nessun altro luogo di questo nostro mondo martoriato. Ma di consapevoli esempi come il suo che il proprio dovere va fatto in ogni momento e fino in fondo, questo sì.

Pino Capellini - L'Eco di Bergamo 04/01/2011

(I servizi a pagina 8)