«Silandro, scuola di vita per noi giovani reclute» Stampa

Malles, Silandro, Glorenza. Difficile dire quanti bergamaschi hanno svolto il servizio militare in queste tre località della Val Venosta, nel profondo Nord. Certamente molti e la notizia dell'abbattimento della casaerma Sigfrido Wackernell, che ha ospitato fino al 1991 il battaglione «Tirano», ha risvegliato i ricordi di alpini orobici di tutte le età.
 

«La vera naia? A Malles»
«Ero destinato a Malles – racconta Paolo Valoti, presidente del Cai di Bergamo – ma poi rimasi alla Rossi di Merano come caporale istruttore delle reclute. Confesso che quelli di Malles erano guardati con rispetto, perché si diceva che chi non andava nei reparti più operativi non poteva dire di avere fatto il militare». Per Valoti quell'anno rimane «uno dei momenti più significativi della mia formazione e sarebbe ancora importante insegnare ai giovani a mettere a disposizione un anno della propria vita per la comunità». Rispetto alle caserme lancia una proposta: «Così come si parla di archeologia industriale, si potrebbe pensare di salvare alcuni di questi edifici prodotto dell'architettura militare, valorizzandoli come luoghi simbolo aperti a tutti, magari destinati a conservare la memoria storica».
 

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A Silandro «scuola di vita»

«Ho trascorso a Silandro alla Druso i giorni migliori della mia vita – afferma Pietro Vitali, sindaco di Cisano Bergamasco, classe 1934 –. Mi dispiace che la caserma farà la fine di quella di Glorenza o Malles. Forse avrebbero potuto trovare altre destinazioni». Il pensiero vola al 1957-58: «Allora non avevo pensieri, la naia è stata una scuola necessaria per la vita». Diciotto mesi trascorsi lontano da casa, potevano sembrare lunghi: «Ma così ho imparato ad apprezzare i valori della mia terra, della mia famiglia. Una scuola di questo tipo manca ai giovani di oggi» aggiunge Vitali che dal ritorno del servizio, nel 1958, non ha smesso di essere alpino, contribuendo a fondare la Protezione civile dell'Ana: «La naia mi ha insegnato a impegnarmi per il bene comune; con gli alpini ho condiviso il valore della solidarietà; non è così in politica purtroppo».
 

«Tanti ricordi a Silandro»
«Quando sono tornato a Silandro stentavo a riconoscere il paese. Tutto è cambiato dal 1962-63. Sono andato a rivedere anche la caserma Cecchini dove c'erano i muli. I ricordi sono tanti, ho stretto rapporti che durano ancora oggi» dice Duccio Bencetti, architetto trevigliese, presidente onorario dell'associazione Amici del Teatro Filodrammatici.
 

Goliardia e momenti di svago
«Certo che me la ricordo la Wackernell – esclama Paolo Rossi, titolare della libreria Rossi in città –. E mi ricordo bene del mulo Rocco: quando siamo arrivati nel giugno del 1983, nevicava e i più vecchi lasciavano andare i muli per spaventare noi reclute. È stato per me un bell'anno, mi sono divertito anche perché amo la montagna». Compagno di naia di Rossi, don Giovanni Ferrari, originario di Costa Volpino, ora parroco in provincia di Siena: «Malles Venosta, un nome, una caserma, un'esperienza di vita che non si cancella con il tempo. Per noi, che provenivamo da diverse zone della provincia, era la prima volta che ci sentivamo bergamaschi insieme, sentivamo di appartenere alla stessa cultura. E poi, quell'amicizia vera che nasce dal vivere gomito a gomito notte e giorno, dal lavorare insieme, dal marciare, consumare il rancio e andare in libera uscita».
 

I muli, amici dell'alpino
Nessuno dimentica i muli: Pietro Andrioletti, alpino vertovese, in estate rifugista al Cavlera, aveva fatto il corso per conducente: «Io avevo il patentino e mi occupavo di Rocco. Sono stato a Silandro, Malles e Glorenza nel 1981-82. Quando ho rivisto la "Druso" nel 2003 ho avvertito un brivido. Di muli ne avevamo più di 40. Quando ne moriva uno, tutti erano chiamati a rapporto e sull'attenti si seppelliva l'animale».
 

«Più rispettati dei soldati»
«Si può dire che i muli fossero rispettati più dei soldati – aggiunge Dino Coter, che a Silandro c'è stato nel 1961-62 –. Ricordo che durante il campo estivo erano morti quattro muli. Quando il primo è caduto in un dirupo noi soldati avevamo pensato che lo avremmo mangiato, invece venne cosparso di nafta, bruciato e ricoperto di sassi». Coter, classe 1934 di Gazzaniga, durante il servizio militare superò la selezione per entrare nel gruppo sportivo: «Arrivai primo, così gareggiai nelle corsa in montagne e nelle campestri». E tornato a casa ha continuato a correre, ottenendo il titolo di campione italiano di staffetta nella corsa in montagna nel 1965 e ‘66: «È un peccato che queste caserme vengano abbandonate e distrutte, potrebbero essere utilizzate come case di riposo o altro» conclude.
 

Le lampadine del Val Chiese
Chi era alla caserma di Glorenza viveva situazioni anche più dure: «La palazzina era molto grande e noi vi stavamo soltanto in 20. Non c'era nulla, per fare la doccia ci portavano una volta al mese a Malles – ricorda il 67enne Gigi Cavalieri, ex vigile di Treviolo –. E il taglio dei capelli era a zero: ci chiamavano le lampadine del Val Chiese». Val Chiese è il nome del battaglione che controllava anche il distaccamento a passo Resia: «Per due mesi eravamo completamente isolati, noi Lupi del Resia. In paese c'era un bar, la chiesa e basta. Ricordo che una volta c'è stato un attentato. Eravamo a 100 metri dal confine austriaco. Era il 1964-65».
Per tutti, indistintamente, il servizio militare è stata un'esperienza positiva, che forse servirebbe ancora ai giovani d'oggi, dicono, per l'esempio di lealtà e servizio che ha lasciato nella formazione di giovani uomini, ma anche nello spirito di solidarietà che gli alpini hanno saputo trasmettere durante la naia.

 

Laura Arnoldi - L'Eco di Bergamo  24/02/2011